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Arte: La meravigliosa complicazione. Personale di Cuniberti alla Galleria San Giovanni

Postato il 19 settembre 2012

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Quando Egidio Cuniberti incominciò la sua impresa titanica era un uomo solo. Aveva quarantatre anni e aveva passato la metà della sua vita con i genitori gravemente malati; lui stesso era malato, di quelle malattie che il linguaggio di paese stenta a definire, si sa solo che riguardano la “testa” e che procurano una sofferenza così intensa e misteriosa che i più non sanno comprendere. Dai primi anni Settanta il suo mondo viene sottoposto ad una rigida scrematura per far posto a quella pulsione che lo conduce a scomporre e a ricomporre continuamente la realtà, secondo l’originalità della sua visione: in fondo anche i “ritrovamenti” di quelli che diventeranno i suoi materiali di elezione, i bastoncini di gelato, i cucchiaini di plastica e le assicelle delle cassette di frutta, appartengono alla fase scompositiva, di scollegamento delle strutture e delle categorie codificate; alla fase successiva apparentemente contraria appartiene invece la composizione eccessiva, che si fa prendere dal proprio gioco, che si abbandona al piacere della distorsione: non il semplice, ma il complicato, l’inutilmente, assurdamente meravigliosamente complicato. La vitalità deduttiva di questo materiale povero è ancora così forte da essere assunta a tema di lavoro da parte di artisti contemporanei come il giapponese Tadashi Kawamata.

 

Questi mobili–‐palazzo, totalmente rivestiti di tessere lignee, secondo l’antica tecnica della marquetterie, erano impalcati con pezzi di masonite e compensato, derivati appunto dalle cassette per frutta: spesso all’interno è ancora leggibile il marchio Peras argentinas che indica una fonte di approvvigionamento particolarmente ricca, forse il cortile di un grossista importatore. Ma i mobili più mirabolanti di Cuniberti sono quelli che ibridano immagini sedimentate nella memoria e nel sogno e condensano il mondo in ambiente da abitare, come succede al ritorno da un viaggio dove l’intimità si illumina di altrove: a volte si tratta di corsi di trafori gotici come nelle case antiche della Piazza di Mondovì a volte di torri cuspidate come campanili, a volte invece sono spazi che girano come in certi “palazzi celesti” dal sapore orientale.

 

Mondovì gli fornisce le immagini del suo paese ideale; le arcate del ponte della ferrovia, la funicolare, il campanile che domina la cittadina, le case e i palazzi storici sulla piazza ricorrono in impaginazioni sempre diverse che passano da un registro più schiettamente figurativo ad uno quasi completamente astratto. La piccola casa di Egidio Cuniberti era così stipata di opere, materiali recuperati nelle sue scorribande notturne, abbozzi di lavori in cerca della loro forma destinale che, come afferma la sorella in un’intervista, per muoversi “c’era il sentiero”, questo a testimonianza di quei pochissimi a cui fu permesso di entrarvi. Nel 2010 tre suoi lavori sono stati esposti a INSITA, la manifestazione di Bratislava che dagli anni Sessanta seleziona gli artisti più interessanti del panorama internazionale: la giuria del concorso, composta dal Gotha degli Storici dell’Outsider Art, non ha potuto premiare il lavoro di Cuniberti perché l’autore non era più vivente, come richiede il regolamento, ma ha espresso la sua entusiastica ammirazione in una menzione d’onore. Nel marzo 2012 presso Spazio Sant’Alessandro a Milano è stata presentata la monografia di Cuniberti insieme ad una suggestiva selezione di alcune opere dell’artista. Mostra a cura di Riccardo Moroni, con la consulenza di Bianca Tosatti.

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hp

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